Solido alle intemperie

A Guilmi, 10 giorni dopo la fine della residenza di Fabrizio Prevedello, 8 dal suo treno verso le Apuane, 6 dalla nostra partenza verso il mare.

C’è stato un grande acquazzone nell’area del vastese qualche giorno fa e il nostro primo pensiero è stato verso il Solido alle intemperie, appena realizzato e con la fine programmata (ma a quando?) nel DNA. Consapevoli della sua natura fugace, questa trasformazione dichiarata e poi l’inevitabile scomparsa nella forma in cui l’artista ce l’ha consegnata ci rende la scultura ancor più cara. Il pensiero vi ritorna costantemente e così, appena torniamo in paese, facciamo il giro largo sulla circonvallazione nord per constatare i danni del temporale. A Guilmi non piove mai, dicono qui e Fabrizio Prevedello ha così intitolato la sua residenza, impossessandosi di quel dire a mo’ di scherno, per dimostrare che non è sempre vero – anche se i guilmesi sono consapevoli del grado di verità e semplificazione dell’osservazione.

Il Solido alle intemperie è una scultura dichiaratamente effimera, composta di ferro e gesso alabastrino, materiali sensibili al passare del tempo. Incavata al centro per raccogliere l’acqua piovana, accelererà il processo d’inevitabile logoramento di se stessa e della torre dell’acqua su cui s’innesta. Essa sarà una sorta di plessimetro inverso, che nell’auscultare le condizioni di deterioramento della scalcinata cisterna, gradualmente ne rifletterà le fattezze: col disgregarsi del gesso, la marcherà di un segno rugginoso e quando tutta la pasta bianca sarà sciolta alla pioggia, di Solido alle intemperie rimarrà soltanto un ramo secco di ferro corroso.

mont7Dalla strada, a pochi passi dall’albero di gelso, il punto di vista è da sotto in su: le nervature, sfrangiate da aloni rossastri di cui forse anticipiamo l’espansione – perché sappiamo che sarà così – appaiono evidenti come vene pulsanti o fasci muscolari, che mantengono l’intero corpo eretto, sporgente dalla torre. Il lento
decadere dello scheletro, il logoramento del ferro che la sostiene, anticiperà la più veloce corruzione del gesso alabastrino che ne è il corpo, e ne sarà macchiato, prima che la torre stessa registri quella sorta di offesa. Ci avevano insegnato, infatti, che cambiare natura è un’offesa: nel mondo immutabile del verbo scritto cristiano, il figlio avrebbe fatto la volontà del padre e ne avrebbe seguito il mestiere. L’arte sarebbe rimasta, per monito e forma, eterna, immutabile, positiva: un incorruttibile monumento…

Per il reazionario, la trasformazione è inconcepibile. Così il Solido alle intemperie, che trasmuterà in composto gesto pittorico un arrogante gesto, che è stato scultoreo, è una sorta di offesa. Nello spirito dei tempi però, questa è solo la registrazione di un dato di fatto e di un’entropia che è principio fisico, non valore morale.

Eppure, ciò che ha sollevato l’interesse di GuilmiArtProject verso l’opera di Fabrizio Prevedello, da cui è scaturito l’invito a mettersi in gioco in paese, è stata una caratteristica che ci sembra essa possieda. Molti dei suoi lavori presentano e risolvono tensioni tra elementi e materiali incongruenti, in una lotta spesso impari e di cui tratterrà i segni, in cui l’uno dovrà soccombere prima dell’altro o viceversa.

Il 13 agosto, durante la presentazione al pubblico del Solido alle intemperie, constatavo il disordine dell’ambiente e dello spazio fisico in cui si stava svolgendo l’evento: case rabberciate di pietra e mattoni traforati, l’ovvietà ormai  storica dell’alluminio anodizzato degli infissi, vicoli e slarghi dissestati, macchine parcheggiate che intralciavano il passaggio. Nondimeno mi rendevo conto che l’invito a Fabrizio Prevedello era stato fatto in ragione di tutto ciò: ché la sua arte commentasse muta e trasformasse in valori fuori dal tempo delle contingenze temporali e dei risultati di prassi comuni non virtuose. Ci prestasse quindi il suo sguardo e la sua arte per contrassegnare delle esistenze per niente ideali, ma non per questo da rimuovere.

Ai guilmesi, viziati dalla scoperta corale dell’opera d’arte – la pratica di GuilmiArtProject –, è stato consegnato quest’anno  un compito arduo: riconoscersi in questa scultura per niente gentile e accondiscendente alla prima, ma che sicuramente col tempo, sarà riconosciuta onesta e leale .

forma barca1
La forma che richiama un vascello diventa più evidente dall’immagine sopra, dove la scultura è ancora in studio e in fase di lavorazione.

Il Solido alle intemperie, pur pensato espressamente per Guilmi e sul luogo specifico della cisterna, è una forma chiusa e dall’evidenza quasi simbolica (mani giunte a raccogliere l’acqua piovana, suggerisce Fabrizio; per me il rimando è ad una barca in arrivo dalla costa ad oriente già con lo scafo in affondo), che non risulta subito empatica, anzi per molti si pone difficile e asciutta.

Eppure Fabrizio stabilisce un contatto: tramite questa specularità di destino tra l’architettura su cui s’insinua come un germoglio e la sua stessa natura, il Solido alle intemperie inizierà a dialogare con i guilmesi, facendo sviluppare in loro un’affezione nei giorni deserti e plumbei d’inverno, quando il cielo incomberà su di esso e la sua fine sembrerà più vicina. Allora l’osservatore solitario si chiederà le ragioni di quell’anti-monumento su un’architettura degli anni Cinquanta con evidenti segni di declino. Perché rimarcare una sorte spiacevole comune alle cose e agli uomini?
In questa domanda e nell’accoglienza di tale destino, l’opera di Fabrizio Prevedello troverà la sua giustificazione anche in questo luogo fuori dal sistema di riferemento dell’arte.

solido 2

Allora, lo sguardo di chi, per caso o per sua volontà, si sarà recato lungo l’anello della circonvallazione nord a dialogare col Solido alle intemperie, ne pondererà la portata e le proporzioni rispetto alla torre e al paesaggio che li circonda entrambi. Le misure, civili e discrete, dell’oggetto scultoreo saranno la ratio con cui re-inserire tutti gli elementi al loro posto e per risarcire la natura con l’artefatto dell’uomo.

mont chico e fabri

Essere presenti all’istallazione della scultura sulla torre dell’acqua ci ha dato il privilegio di afferrare all’istante tale necessità di relazione tra oggetto e luogo.  Da una certa distanza si percepiva, forse magnificandolo, quasi un senso di onnipotenza come quello che si prova di fronte alla chiusura di un’impresa a lungo considerata, ma di non facile risoluzione. Due uomini su un elevatore traballante per portare a termine un gratuito atto di contrappunto spaziale. Ma per scongiurare l’anelito verso l’esaltazione e il gigantismo, basta ristabilire ancora una volta i termini di confronto e capire l’ordine delle cose: alcune hanno il ruolo di soprintendere, altre indicano la via dello sguardo. In questa istallazione Fabrizio Prevedello pondera e considera, ma la sua arte non gli prende la mano: lascia il passo al paesaggio e alla Natura, che ancora una volta, conducono il gioco.

Riguardo all’impermanenza delle opere d’arte e parallelamente all’antimonumento: è diventata una sorta  di necessità etica per GuilmiArtProject promuovere la produzione di lavori che gradualmente si disgreghino, che non restino nella forma, ma solo nel ricordo e nella condivisione di un’esperienza. Cito qui da una lettura di stamattina, solo per non riformulare un pensiero che abbiamo ripetuto tante volte in questi anni: “Voglio trasformare la parola “monumento” in “momento”. Un momento vissuto, un momento  in cui si è fatto nascere qualcosa, un momento in cui si è condiviso qualcosa, un momento in cui ci siamo accorti di qualcuno e ci è sembrato valesse la pena ascoltare, un momento in cui ci siamo fermati a riflettere, un momento in cui abbiamo fatto parlare qualcun altro e abbiamo taciuto … ” Gaetano Cunsolo, A-journal – issue 0, p. 77.
Quest’ultima affermazione in particolare ci dice che un monumento come imposto dall’alto (includendoci qui come possibili appartenenti ad una sfera d’alterità) per dirigere valori condivisi, o presunti tali, per una crescita comunitaria e sociale risulta oggi inappropriato e inattuale. Senza rinnegare secoli di storia, in cui senz’altro tale modalità ha funzionato, al presente è difficile da sostenere la validità del monumento, o semplicemente, di un oggetto che da “immutabile” diventa poi “muto”. Chi può prendersi la responsabilità di mettere al mondo una forma che resti nel tempo, a monito di un momento che a noi sembra eterno, ma che i posteri non sarà forse mai esistito? Non vado oltre con la retorica sulle opere dimenticate ed ora insignificanti che marcano i nostri spazi comuni, sulle spese per la conservazione e il mantenimento di glorie passate. Il nostro non è nichilismo artistico, al contrario è rispetto per ciò che nasce circostanziato e viene esperito direttamente, con un riscontro immediato che può essere anche rischioso.

Non leggevamo sotto quest’ottica l’opera di Fabrizio Prevedello, prima di invitarlo a GuilmiArpProject, eppure…

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