Sono appena partito da Firenze per arrivare a Guilmi. Prima tappa stazione di Bologna. Un ragazzo è appena uscito dal bar della stazione. Un commesso lo segue, lo accusa di aver rubato un pacco di biscotti. Il ragazzo non si volta, fa finta di niente. Il commesso lo tiene per lo zaino. Un passante scaltramente lo blocca. Il ragazzo si dimena, ha paura. Chiede di esser lasciato andare, in fondo è solo un pacco di biscotti. Il commesso e il passante 1 dicono al ragazzo che doveva pensare prima alle conseguenze a cui andava in contro compiendo un atto del genere. Lo tengono con forza. Vogliono la polizia. Un passante 2, avrà avuto una sessantina d’anni, chiede di poter pagare il pacco di biscotti, in cambio del rilascio del ragazzo. Nulla da fare. Il ragazzo deve essere punito. Arriva la polizia. Lo arrestano, letteralmente, con tanto di manette ai polsi.

Ognuno di noi si è impegnato in un gioco sociale. Ognuno di noi ha recitato perfettamente il proprio ruolo. Ci ostiniamo ancora a comportarci da onesti cittadini. Può l’uso consapevole della libertà, radicata in ognuno di noi, rompere in qualche modo con il copione a cui solitamente ci atteniamo, cortocircuitare i codici comportamentali che noi stessi decidiamo di rispettare?

In parte da questa riflessione hanno avuto origine le motivazioni che mi hanno spinto a realizzare il progetto svolto a Guilmi. Prendendo come modello Rethinking Human Energies di Alessandro Carboni, insieme ad Alì e Paride, abbiamo circolato per le vie di Guilmi in cerca di ventilatori. Durante queste passeggiate (e non solo) ho avuto la possibilità di scoprire molto sul paese, sulle dinamiche che lo governano, sul modo di vivere e di relazionarsi ad un territorio. Spesso ci fermiamo a parlare con la gente. Spesso la gente ci ferma per parlare. Si parla di Guilmi, dello stato delle strade, della frana, della sagra, dei pomodori, dell’uva e degli ulivi e dei versanti del monte su cui è meglio piantare una cosa o l’altra, della quiete, del fatto che Guilmi a volte affronta una realtà statica, dello spopolamento, del governo e della regione, dei ventilatori, di GAP e dell’arte, di casa mia.
Con Alì e Paride abbiamo cercato di raggruppare un numero consistente di ventilatori. Con quest’ultimi abbiamo poi costruito un’istallazione. Azionandoli sullo stesso tempo e lasciandoli immobili abbiamo ricreato una condizione statica. Per conferire del dinamismo a tale condizione era necessaria l’azione della gente che compiendo un atto ludico (cioè giocare semplicemente con i ventilatori), avrebbe modificato il risultato di partenza. Un atto imprevedibile considerando i tabù che spesso “l’opera d’arte” genera ad un pubblico non dell’arte.


Abbiamo deciso di non mediare in nessun modo il lavoro. Volevamo che qualcosa avvenisse.